Il guardiano del faro...



Da quando ho iniziato ad andare in montagna regolarmente e con una certa frequenza sempre più persone mi chiedevano stupite che cosa poteva spingermi a svegliarmi alle 5 della domenica, e per questo a rinunciare ai canonici divertimenti del sabato sera, ma non solo, si meravigliavano quando con entusiasmo annunciavo che il giorno seguente mi sarei svegliata alle 5 per camminare 6 o più ore.
Ho iniziato quindi a chiedermi in effetti perché provavo una sensazione di vitalità esplosiva al pensiero di dovermi alzare presto, (…) e faticare su un sentiero (…).
Ho scoperto che la psicologia ha dato varie risposte alla domanda del perché una persona cerchi con passione il raggiungimento della vetta: i freudiani si concentrano sul rapporto madre-figlio, gli adleriani collegano tutta la vicenda alpinistica al superamento dei propri limiti, del proprio complesso di inferiorità alla ricerca di un maggiore equilibrio interiore. (…).
Sull’onda di questi pensieri ho capito cosa spingeva me e forse anche qualcun altro ad affrontare fatiche e rinunce.
Non è la ricerca (…) o il desiderio di superare i propri limiti, ma il piacere di scoprire il sapore più genuino della condivisione e della solidarietà e in alcuni casi, dell’amicizia.
In montagna siamo semplicemente uomini e donne nel nostro essere più autentico, procediamo senza l’ausilio della tecnica moderna, camminando, facendo conto solo sulle nostre forze fisiche per raggiungere una meta, (…).
E penso che anche il contatto con la natura inviolata e la lontananza dall’alienazione cittadina (asfalto, macchine, traffico, inquinamento) contribuisca al recupero della propria interiorità e della propria umanità, all’essere umano viene data la possibilità di ritrovare il significato della solidarietà e dell’uguaglianza.
In montagna ci spogliamo della nostra età, del nostro titolo di studio, del nostro status sociale, quando saliamo per un sentiero, quando l’asfalto e le macchine non si vedono più e intorno a noi ci sono solo rocce e alberi, diventiamo semplicemente uomini e donne.
Il nostro “io” più profondo si disvela e diventa facile parlare e ascoltare.
La montagna si offre a tutti, a chi cerca la quiete dei sentieri, chi cerca la purezza del ghiaccio, chi vuole sfidare le vertigini della roccia e il proprio coraggio; la montagna, madre e matrigna accoglie tutti, ma chiede in cambio rispetto ed umiltà.
La montagna, aspra e sempre imprevedibile, è il luogo dove la libertà più pura e autentica viene custodita.
La montagna insegna che cosa è la libertà: non è banalmente “fare tutto ciò che voglio”.
Tra i monti non si può assolutamente “fare tutto ciò che vuoi”, pena la sconfitta irrimediabile.
La libertà è uno stato in cui il nostro essere più autentico può vivere e si può esprimere.
Per la libertà si sono scritte poesie, libri e si sono combattute guerre, anche se qualcuno obbietterà che le guerre si fanno per il denaro, sono convinta che l’uomo ricerchi così tanto i beni materiali perché ha l’illusione che possano renderlo più libero. Invece, la libertà si trova nella fatica della salita, nella durezza del granito, nel verde degli alberi, nella paura del vuoto, nell’estasi della vetta.
La montagna è un luogo dell’anima, dove la libertà si compie.

Maria Elena

“Guardavo le montagne e pensavo che arrampicandomi sarei andato via dal campanilismo e dalla ristrettezza mentale della valle. Ho cercato fin dal principio la libertà dentro di me. L’ho salvaguardata per tutta la vita come un guardiano del faro”.
R. Messner


Articolo tratto da “La Cordata” Annuario 2009
Sezione C.A.I. di Calco - LC